Parlando di teledidattica o di formazione a distanza (FAD) si intende spesso, nella sua accezione più ampia, qualsiasi forma di apprendimento elettronico o di formazione erogata utilizzando le tecnologie informatiche.
Nel nostro contesto tuttavia siamo nell’ambito dell’e-learning non come sinonimo di FAD, ma come una sua evoluzione che, oltre all’utilizzo di Internet, si avvale di una tecnologia specifica nota come LMS (Learning Management System). Un percorso formativo quindi in cui si attivano numerosi servizi (aula virtuale, chat, forum, lavagna condivisa, bacheca, wiki ecc.) e in cui possono interagire diverse figure professionali in un ambiente strutturato che promuove un apprendimento di tipo collaborativo. Non si tratta quindi di una forma di auto-accesso o autoformazione (intesa come fruizione di contenuti da parte dello studente senza l’intervento del docente), né di formazione auto diretta o autonoma (in cui l’intervento di un eventuale tutor può orientare la scelta di un percorso formativo predisposto in rete) ma piuttosto di un apprendimento collaborativo sviluppato in un ambiente virtuale (Balboni 2000).
L’attenzione è posta quindi sull’aspetto reticolare della formazione, sulla comunità di pratica1 che viene a crearsi tra gli studenti che costruiscono conoscenza e collaborano a un processo comune il quale, muovendo da contenuti e materiali ben strutturati ed erogati online, ha come obiettivo l’apprendimento continuo e il miglioramento collettivo. Il modello andragogico di riferimento (Knowles 1984) è quindi quello del costruttivismo centrato sulla figura dell’apprendente – principale responsabile del proprio processo formativo – che, come parte di un contesto sociale (per noi la comunità di rete), contribuisce alla costruzione di un sapere comune e condiviso. Nel nostro caso parleremo di e-learning di tipo formale, basato, cioè, su un preciso programma precedentemente creato dal docente e opportunamente facilitato ed assistito da eventuali tutor di rete (Sisti 2007). Si tratta di approcci spesso definiti di tipo push, dove lo studente è ‘spinto’ verso l’obiettivo del corso tramite una serie di attività. Il docente diventa, quindi, colui che crea gli strumenti, gestisce, dirige e facilita il percorso di apprendimento che, per la natura stessa del mezzo di erogazione utilizzato, potrà assumere forme e modalità diverse in base alle esigenze dei partecipanti (Trentin 2001, 2005, 2008).
L’e-learning, per le sue caratteristiche specifiche, rappresenta una forma di apprendimento del tutto diversa dall’educazione in presenza (Jewitt 2005; Jonassen et all. 2013; Kress 2010; Lopez-Perez et all. 2011; Kaplan, Haenlein 2016). L’assoluta individualizzazione di tempi, luoghi e ritmi di apprendimento rendono la modalità online una possibile alternativa ai corsi in presenza o un arricchimento di un percorso di formazione che alterna momenti in presenza ad attività in remoto (blended learning).
È forse utile fugare ogni timore che in futuro tali corsi possano addirittura sostituire completamente quelli in presenza. In realtà, seppure più fruibile dal punto di vista logistico, un corso online non entra affatto in competizione con l’equivalente corso in presenza. Gli studenti che preferiscono percorsi totalmente online sono di solito adulti, generalmente professionisti occupati o in attesa di prima occupazione, che seguono un progetto di ‘formazione continua’. Inoltre, come emerge dai sondaggi condotti tra docenti e studenti, la mancanza di interazione reale tra i diversi attori crea inevitabilmente un senso di frustrazione che ci conferma quanto la scelta del percorso a distanza sia spesso dovuta alla necessità di dover conciliare lo studio con gli impegni professionali e familiari o, come in questo momento, da cause di forza maggiore. Insomma, la formazione via web non può essere confrontata in termini di esclusione ma di inclusione con la didattica in presenza: l’una non farà scomparire l’altra ma contribuirà a fornire un’offerta didattica più ampia e differenziata che possa rispondere alle esigenze e ai bisogni formativi di un pubblico non solo di studenti in sede, ma anche di adulti che cercano di perfezionare la propria preparazione restando nella propria sede lavorativa.
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1L’espressione comunità di pratica, introdotta da Étienne Wenger, rimanda alle teorie Pierre Lévy sull’Intelligenza collettiva e agli studi di De Kerckhove sull’intelligenza connettiva.